La Storia Sabina
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I primi segni del popolamento dell'area risalgono al paleolitico medio. Sono segnalati anche numerosi siti dell'età del bronzo, in particolare il bronzo medio, il bronzo recente e il finale attestato dal grande insediamento sull'altura "castelliere", recentemente individuato sulla sommità del monte S. Martino, dirimpetto a Fara in Sabina.
Per l'età del ferro sono di estrema importanza gli scavi tuttora incorso n località Arci che hanno riportato in luce alcuni fondi di capanna risalenti alla fine del IX, all'VIII ed al VII secolo a.C., ed una casa del VI secolo a.C., sicuramente appartenenti alla città sabina di Cures, che rammenta il periodo nel quale la leggenda sabina colloca i rapporti con Roma (il leggendario ratto delle sabine, i re sabini di Roma, Tito Tazio e Numa Pompilio). Dagli scavi sono stati recuperati moltissimi reperti che sono attualmente in fase di restauro ed in deposito a Farfa in attesa di essere esposti.

 Per il periodo romano sono in parte visibili nello stesso sito,uno spessomantello di rovi, sotto i resti delle terme e di alcuni ambienti ad esse adiacenti, già scavati durante il secolo scorso dai Torlonia. Sono anche visibili tratti del piccolo teatro, mentre è stata individuata una delle necropoli sul Monte Vecchio dove sono stati ritrovati i fondi di capanna della prima età del ferro pertinenti all'abitato protostorico ed arcaico di Cures. La necropoli, molto povera, è costituita in gran parte da tombe a cappuccina, pressoché prive di corredi funerari.
La caratteristica più rilevante di questo periodo è la forte diffusione sul territorio di numerose ville rustiche, sviluppo che ha avuto nelle grandi linee due fasi principali caratterizzate una, nel II secolo a.C., dalle ville costruite in opera poligonale e l'altra, attorno alla metà del I secolo a.C., dall'uso massiccio dell'opera quasi-reticolata e da una strutturazione più articolata e complessa delle ville e delle loro pertinenze. Molto numerose sono dunque le strutture di queste ville, in particolare le piattaforme che ancora oggi sono visibili e che potrebbero essere agevolmente valorizzate, salvo sempre i soliti problemi di attrezzatura delle aree e del superamento dello scoglio della proprietà privata.
Tra le piattaforme in opera poligonale di III e IV maniera la più imponente è senza dubbio quella di Grotte di Torri, circa un ettaro di superficie, 100 metri di lato. Il lato meglio conservato è quello meridionale, dietro al quale si aprono due criptoportici che avevano una funzione sia strutturale (ampliare il pianoro sul quale costruire gli edifici) sia come uso di deambulatori o depositi.
Altre ville importanti quelle di Fonteluna, di Mirteto, dei Cagnani e di S. Lorenzo, queste ultime due a Canneto, di S. Andrea e di S. Pietro nei pressi di Borgo Salario. In opera quasi reticolata importanti quelle di Grottaglie e di Piano S. Giovanni, di Grotta Scura, di Monte S. Martino e di Fonte Vecchia.

 Il termine "Fara" ha, come è noto, una origine longobarda ed indicava, almeno inizialmente, il gruppo parentale che si muoveva unito durante gli spostamenti, spesso bellicosi, della popolazione germanica. E' possibile quindi che le origini dell'abitato possono farsi risalire alla fine del VI secolo, al momento del loro stanziamento nella zona. Le ragioni di carattere militare alla base della fondazione dovettero venir meno
abbastanza rapidamente e i Longobardi si insediarono nelle campagne in nuclei sparsi.

 ll castello di Fara appare come già edificato prima del novembre del 1006. Fino alla metà dell'XI secolo le vicende di Farfa e di Fara furono del tutto divergenti. Solo intorno al 1050 l'abate Berardo I riuscì a portare il castello di Fara sotto il controllo dell'Abbazia. Successivamente il castrum fu occupato da Rustico, uno dei membri della potente famiglia dei Crescenzi Ottaviani, ma il 17 marzo del 1082 l'imperatore Enrico IV, in visita a Farfa, mandò il suo esercito ad invadere Fara. Senza molta fatica Rustico ne fu espulso ed il castello tornò in possesso dell'Abbazia. L'importanza di Fara si accrebbe nel tardo Medioevo, tanto da inglobare i territori dei castelli abbandonati limitrofi. Nel 1461 Fara, che si era data ai Savelli, fu assediata dalle truppe al comando di Federico da Montefeltro. Gli abitanti, però, si arresero abbastanza rapidamente, "fatte salve le robbe e le persone".
Con lo sviluppo e l'incremento demografico duecentesco il nuovo polo unificatore divenne la chiesa di S. Antonino la cui costruzione fu iniziata nella prima metà del secolo al di fuori dell'antico recinto castrale per supplire alle nuove esigenze della cura d'anime indubbiamente cresciute in questo periodo, e non più in grado di essere svolte dalla piccola chiesa di S. Maria in Castello. Nel Trecento fu costruita anche la chiesa di S. Giacomo. I così detti Preventori della Cri sono costituiti dal convento di S. Francesco, fondato dagli osservanti sullo scorcio del Cinquecento e dal complesso di S. Fiano, appartenente ai monaci di Farfa, ampiamente ristrutturato e riorganizzato agli inizi del Seicento, come luogo di villeggiatura estiva. Nel 1817, con la definitiva sistemazione dell'assetto della delegazione di Rieti, Fara, che aveva 1197 abitanti, nell'ambito del distretto di Poggio Mirteto, divenne sede di governatorato dal quale dipendevano i comuni di Castelnuovo, di Moricone, di Mompeo con i rispettivi appodiati, Poggio Nativo, con appodiato Monte S. Maria, e Toffia, per una popolazione complessiva di 5.271 abitanti. Nel 1830 il tessuto urbano era suddiviso nei quartieri di via S. Giacomo, di piazza della Chiesa, di piazza Forcina, di piazza del Pesce, degli Scaloni, dell'Ospedale e della Porta. Nel 1853 le principali contrade di Fara si chiamavano S. Giacomo, la Collegiata e la via del Governo. La chiesa principale di Fara era la Collegiata di S. Antonino, fondata nel Duecento, ma completamente ristrutturata nel Cinquecento, dotata di un organo e abitata da un arciprete con dieci canonici. La festa principale è il due settembre. Gli abitanti erano complessivamente 1308, 310 le famiglie, 288 le case.

 La gran parte della popolazione, 918 persone, viveva, però, nelle campagne dove esistevano due parrocchie succursali: una a Coltodino, dedicata a S. Filippo Neri ed alla SS. Concezione; L'altra a Canneto sotto l'intitolazione dei SS. Rocco e Isidoro.
Questa frammentazione della popolazione nelle campagne si rifletteva anche sull'organizzazione sanitaria che, oltre al medico primario (stipendio 200 scudi) ed al chirurgo (180 scudi), che soggiornavano a Fara, vedeva la presenza a Coltodino di un altro medico (stipendio 205 scudi più altri 45 per lo scavalco a Corese Terra). L'unica farmacia della famiglia Isidori, aveva sede a Fara, come anche l'ospedale.
Le famiglie faresi preminenti erano i Corradini, i Cherubini, i Castellani ed i Manfredi. Sei erano i negozianti di campagna, tre le botteghe di liquori, cinque i calzolai, uno scalpellino, un bastaro, alcuni ebanisti, dodici i carrettieri, due le botteghe di ferri lavorati. C'era anche una locanda, il monte di pietà, il monte frumentario, una banda musicale, con a capo un maestro comunale. La pubblica istruzione era curata da un maestro ed una maestra a Fara, mentre in campagna essa era demandata ai due parroci. Due le confraternite presenti quella del SS. Sacramento e quella della Misericordia nella chiesa di S. Giacomo. Nel territorio comunale si tenevano due fiere, una a Fara il 30 novembre, festa di S. Andrea apostolo, l'altra per l'Ascensione nel santuario campestre della Madonna dell'Arci.
Di maggior importanza rimanevano ancora quelle che si tenevano presso il monastero di Farfa, che, nonostante la crisi del cenobio benedettino, erano «Fiere di grande concorso, ove accorrono anche Mercatanti da lontane parti». Esisteva una sola la mola da grano gestita dalla famiglia Selli, mentre numerosi erano i molini da olio: uno dei monaci di Farfa, uno di Bernabei, uno di Lupi, uno di Sacchetti, uno di Turchetti. L'ottimo olio aveva attivato un consistente flusso commerciale con Roma, che vedeva impegnate molte persone.

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